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Tuesday, February 3, 2015

Ricongiungimenti. I nuovi redditi minimi per presentare domanda nel 2015

Roma – 2 febbraio 2015 – Per portare i familiari in Italia, i cittadini stranieri devono dimostrare, tra le altre cose, di essere in grado di provvedere al loro sostentamento. Le soglie minime di reddito variano in base al numero e di familiari per i quali si chiede il ricongiungimento e utilizzano come parametro di riferimento l'importo dell'assegno sociale.

In generale, il Testo Unico per l'Immigrazione prevede che chi chiede un ricongiungimento familiare abbia “un reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale aumentato della metà dell'importo dell'assegno sociale per ogni familiare da ricongiungere”.
C'è però un'eccezione per i bambini: “Per il ricongiungimento di due o più figli di età inferiore agli anni quattordici è richiesto, in ogni caso, un reddito non inferiore al doppio dell'importo annuo dell'assegno sociale”.  Inoltre, specifica la legge, “ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente”.

All'inzio di gennaio, come ogni anno, l'Inps ha rivalutato per il 2015 l'importo dell'assegno sociale, portandolo a 5830,76 euro. Ecco allora come sono cambiate le soglie di reddito per i ricongiungimenti familiari:

Ricongiungimento di 1 familiare: € 8.746,14
Ricongiungimento di 2 familiari: € 11.661,52
Ricongiungimento di 3 familiari: € 14.576,9
Ricongiungimento di 4 familiari: € 17.492,28
Ricongiungimento 2 o più figli che hanno meno di 14 anni: € 11.661,52
Ricongiungimento di 1 familiare e 2 o più figli che hanno meno di 14 anni:  € 14.576,9
Ricongiungimento di 2 familiari e 2 o più figli che hanno meno di 14 anni: € 17.492,28


http://www.stranieriinitalia.it/attualita-ricongiungimenti._i_nuovi_redditi_minimi_per_presentare_domanda_nel_2015_19536.html

Wednesday, May 1, 2013

"Kyenge zulù": insulti razzisti .......

"Kyenge zulù": insulti razzisti 
sui siti della galassia nazi

Le pesanti offese contro il neoministro di colore su Stormfront, Duce. net, Facebook. "Aprirà la strada a tanti fratelli d'Italia abbronzati". Il leghista Borghezio: lei è una bonga bonga, una scelta del c...di PAOLO BERIZZI

MILANO - "Scimmia congolese". "Governante puzzolente". "Negra". "Negra anti-italiana". "Vile essere". "Faccetta nera". E poi: "Il giorno Nero della Repubblica", con sotto la sua foto. Fino a un "ministro bonga bonga" (il copyright è del fine pensatore leghista Mario Borghezio che Cécile l'ha già ribattezzata "faccia da casalinga", "scelta del cazzo", una che è arrivata lì "perché si sarà arruffianata qualche gerarca del Pd"). 

Sembra il triste copione di un film già visto: in piazza, a scuola, negli stadi. In osteria. Ma siccome l'odio becero e razzista non dorme mai - richiede solo tempi tecnici per sedimentarsi - contro Cécile Kyenge, neoministro della Repubblica italiana per l'Integrazione, arriva ora l'anatema della rete nazifascista. Non la storia, non la capacità e le competenze. Il colore della pelle. La discriminante razziale che muove la follia formato web dei "leoni della tastiera". 

Sul profilo Fb del "Movimento nazional socialista dei lavoratori" (il clone del partito di Hitler, 1.002 fan), tra un'immagine delle SS e il monito "l'Europa è bianca", campeggia la foto del medico oculista di origini africane. "La congolese offende l'Italia: dice che la nostra "è ormai una società meticcia, e bisogna prenderne atto". Noi invece - recita un post firmato mcm - prendiamo atto della dichiarazione 
di guerra verso la nostra identità e diciamo a questi vili esseri che noi non ci arrenderemo...". Un altro link rimanda al portale "Identità. com". A un altro raffinato ragionamento. "Era inevitabile che il punto più basso della storia repubblicana fosse segnato dalla presenza del primo ministro non-italiano e negro della Storia d'Italia".

In principio era stato il "niet" della Lega contro "il ministro che favorisce i clandestini". Ma la deriva razzista doveva ancora esplodere. Eccola. E' vero, è affidata alla caducità stupida della rete: però è un segno del clima d'odio diffuso (che non fermenta solo nella mente del disoccupato Luigi Preiti, è anche razziale). La "scimmia congolese", come la chiama "Gamma camicia nera" sul forum "il Duce. net", aprirà la strada a "tanti nuovi fratelli d'Italia, ben abbronzati. Ma che cazzo è successo al Paese?". Risponde il "soldato San Marco". "Uno schifo... ci mancava la negra". "Ricordiamoci faccetta nera", è il consiglio di un altro utente del forum "benitomussolini. com" . 

L'assioma del dibattito ospitato da "termometropolitico" è "il governo Letta è un vero lettamaio". La colpa è sua, della Kyenge. "Negra e anti-italiana". "Zulù". "Governante puzzolente". A tal punto che c'è chi sta già "preparando i biglietti per la Russia". Solo temporaneamente inaccessibile il sito della sezione italiana di "Stormfront" (il movimento che inneggia alla superiorità della razza bianca, quattro militanti nostrani condannati per istigazione all'odio razziale) tra i più scatenati ci sono i seguaci del "Movimento fascista italiano". "Che sia stata nominata come ministro di questo cosiddetto ministero una negra sposata con un italiano (deve essere un disperato) la dice lunga...", scrive sul suo blog (pezzo "linkato" dal Mfi) il professor Pietro Melis. Che va in affondo mettendo in dubbio, per supposta inferiorità razziale, la professionalità del neoministro. "Vi fareste operare da questa oculista "di colore"?", si chiede l'autore del testo "Scontro tra culture e metacultura scientifica". 

Il pezzo forte, si fa per dire, è la chiosa finale, anticipata da una personale interpretazione della fotografia del giorno del giuramento nella quale "la ministra negra si trova coccolata e privilegiata tra Letta e Napolitano e ha la precedenza su tutti gli altri ministri". "Questa folle" - la bolla il Melis -, "è venuta a comandare in casa altri... Perché non è rimasta nel suo Congo in mezzo alla guerra civile?...". Ce n'è abbastanza per chiedere l'intervento della polizia, fa notare Gennaro Gatto dell'Osservatorio sulle nuove destre.
http://www.repubblica.it/politica/2013/04/30/news/kyenge_zul_insulti_razzisti_sui_siti_della_galassia_nazi-57768619/?ref=NRCT-57767758-2

Monday, January 9, 2012

Crescono le rimesse degli immigrati

Crescono le rimesse
degli immigrati

ATTUALITÀ

Sono consistenti le rimesse dall’Italia all’estero. Gli immigrati residenti nella nostra provincia nell’anno 2010 hanno inviato ai loro parenti nei paesi d’origine più di 59 milioni di euro. A livello nazionale sono 6,3 miliardi, su 37 dichiarati al fisco. Sono soldi guadagnati nell’attività lavorativa in Italia e risparmiati per sostenere famigliari lontani. Una cifra che è cresciuta nel tempo. Nell’anno 2005 i trasferimenti da Reggio sono stati di 25,5 milioni di euro, nel 2006 di 36,8, nel 2007 di 43,3, nel 2008 di 45,9, nel 2009 di 49,9 e nel 2010 di 59,3 milioni.
Gli stranieri in provincia di Reggio sono circa 69mila, di cui 61mila di origine extra-comunitaria. I canali di trasferimento del denaro sono in primo luogo i money transfer, i cui gestori, autorizzati dalla banca d’Italia, effettuano le operazioni di movimentazione della valuta con obbligo di identificazione del cliente. Queste attività sono svolte anche dalle banche, in base a un accordo interbancario, e dalle Poste. I money transfer hanno costi meno elevati. Poi ci sono canali irregolari, che sfuggono alle statistiche, ma sono stimati a livello nazionale in un terzo dei trasferimenti regolari. Trasferire denaro per via ufficiale ha un costo piuttosto elevato, superiore al 7% della somma versata, anche se c’è un impegno del governo italiano di ridurlo al 5%.
La comunità più attiva nell’invio di denaro è quella cinese. I cinesi a Reggio sono poco più del 7% del totale degli stranieri presenti, ma effettuano il 23% delle rimesse. Nel 2010 da Reggio sono stati destinati alla Cina 13,5 milioni di euro. Seguono il Marocco con 5 milioni, la Romania con 4,4, la Georgia con 4,2, l’India con 3,1, la Nigeria con 2,8, l’Ucraina con 2,2 e il Brasile con 2 milioni. A livelli più bassi tutti gli altri paesi.
di Gian Piero Del Monte
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.telereggio.it/2012/01/09/rimesse-immigrati-money-transfer/

Sunday, March 21, 2010

Il Progetto.......“Viviamo la città”


Difficoltà di comunicazione con immigrati


Ref:(libri)


• Cross-cultural and intercultural communication Di William B. Gudykunst

• Parole comuni culture diverse: guida alla comunicazione interculturale Di Paolo E. Balboni

• Cross-cultural communication: an introduction to the fundamentals Di Donald William Klopf

• The Power of Body Language: How to Succeed in Every Business and Social ...

Di Tonya Reiman

 

 

 

 

 

 

“Viviamo la città”

“Fare sicurezza” partendo dai giovani nelle scuole fino alle infrastrutture pubbliche.
Si chiama “Viviamo la Città” e coinvolge molti settori e soggetti del territorio a partire dai giovani, prevalentemente quelli della classi IV e V delle scuole superiori ma anche quelli delle scuole medie, e poi gli anziani, le famiglie, con il coinvolgimento di operatori sociali, educatori, rappresentanti delle istituzioni, delle forze dell’ordine, delle associazioni di categoria. E poi opere pubbliche come una pista ciclabile, pubblica illuminazione, marciapiedi di collegamento, ed altro.
Le caratteristiche e gli scopi del progetto sono stati oggi illustrati anche alla stampa dal Sindaco Antonello Merolla, dall’Assessore alle Politiche Sociali Fabio Carrozza e dal personale dei Servizi Sociali.
Tra tutte le novità che questo progetto propone forse la più innovativa di tutte è quella di voler parlare ai giovani di legalità, rispetto dei limiti e delle regole con il “linguaggio” dei giovani. Per illustrare i contenuti del progetto e del loro ruolo attivo, di protagonisti, si è svolta una festa giovedì sera nel Centro Polivalente San Valentino con l’esibizioni di gruppi dal vivo, dj, animatori indicati da loro, con distribuzione di gadget ed una rete di comunicazione su Facebook che li terrà in contatto ed aggiornati sugli eventi. Un bus navetta ha fatto da collegamento tra il centro città ed il luogo dell’evento mentre un vivace bracciale USB con il logo del progetto sarà il lasciapassare per gli incontri previsti.
Questi spazieranno dagli incontri in aula con esperti, a laboratori di comunicazione creativa con la realizzazione di una brochure, ad eventi con testimonial molto seguiti dai giovani.
Il primo di questi sarà Matteo Viviani de Le Iene di Italia Uno, giovedì 18 febbraio. Gli altri saranno ‘svelati’ di volta in volta con l’approssimarsi delle date. Infatti il progetto, che avrà valore di credito formativo per gli studenti partecipanti, si svolgerà durante tutto l’anno scolastico in corso con un grande evento e convegno finale con valore di workshop.
“Viviamo la città” è un progetto finanziato dalla Regione Lazio che va ad integrare una progettualità in corso nella programmazione comunale. L’iniziativa avrà una valeza anche extrascolastica con la realizzazione di una guida sulla sicurezza di pronta consultazione in casi di emergenza, uno sportello di assistenza ed aiuto alle vittime dei reati, una serie di incontri informativi rivolti agli anziani sulle truffe e raggiri, agli operatori del settore economico sui comportamenti “mafiosi”, ai “formatori” insegnanti e alla polizia municipale per interventi finalizzati a relazioni con minori problematiche legate a extracomunitari. E poi una pista ciclabili, pubblica illuminazione in aree del quartiere San Valentino.
“E’ un progetto ambizioso, importante – hanno detto il Sindaco Merolla e l’Assessore Carrozza – che va nella direzione della città delle persone e dei servizi che è alla base del nostro programma. E’ partito già sotto i migliori auspici e credo che investire nei giovani, nel formarli ai principi della legalità e della consapevolezza dell’importanza delle loro scelte, nel rispetto delle regole civili, comportamentali, sociali, stradali, nel divertimento come nello studio e lavoro, attraverso i loro valori, il loro linguaggio, i loro interessi possa produrre dei reali effetti positivi e duraturi per il loro e nostro futuro”.

Friday, May 8, 2009

Guantanamo Libya. The new Italian border police

Guantanamo Libya. The new Italian border police

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Centro di detenzione di ZlitanTRIPOLI - The iron door is closed. From the small loophole I see the faces of two African guys and one Egyptian. I can't stand the acrid smell coming from the holding cells. I ask them to move. Now I can see the whole room, three meters per eight. There are some thirty people inside. Piled one over the other. There are no beds, people sleep on the ground on some dirty foam mattresses. Behind, on the walls, somebody has written Guantanamo. But we are not in the U.S. base. We are in Zlitan, in Libya. And the detainees they are not suspected terrorists, but immigrants arrested south of Lampedusa.

Centro di detenzione di ZlitanPeople press behind the door. They have not been receiving any visits since they were arrested. Someone raises the voice: "Help us!" A young man put the hand out of the loophole and give me a piece of cardboard. There is written a telephone number, by pen. The prefix is that of Gambia. I put it in my pocket, hiding from the police. His name is Outhman. He asks me to tell his mother he is still alive. He has been locked in this prison for the last five months. Fabrice instead spent here nine months. Both of them were arrested during police raids in the immigrants neighbourhoods in Tripoli. Since several years actually, Libya is committed to patrol the European southern border. With any means. In 2003 Italy signed an agreement with Gaddafi and sent oversea motorboats, cars and body-bags... funding detention centres and deportation flights. Since then, tens of thousands of immigrants and refugees every year are arrested in Libya and held in such inhuman conditions.

Centro di detenzione di Zlitan"People are suffering here! The food is bad, and the water is dirty. We are sick and there are pregnant women." Gift is 29 years old. She is from Nigeria. She was arrested three months ago, while she was walking with her husband on the street. They left two children in Tripoli, she said. She is not allowed to call them. Her husband has been repatriated the previous week. She is still here, alone, wearing the same clothes she had when she was taken prisoner. Before, she has been living in Libya for three years, working as a hairdresser, and she didn't have any idea to cross the sea towards Italy, as many of the other immigrants who are here.

Il direttore del campo di Zliten, Ahmed SalimIt is not the case of Y. Because he really dreamed about Europe. He is Eritrean and he deserted the army in order to seek for political asylum in Europe. He was apprehended in the sea. By the Libyans police. And locked here in Zlitan. Before entering in the office of the director – Ahmed Salim -, a policeman whispers something to him. When we ask him about the conditions of the prison, he answers with a trembling voice: "Everything is good." He is frightened. He knows that if he says something wrong he will be beaten. The director smiles in front of him and grants us he will not be deported. Within the next week he will be transferred to the detention centre of Misratah, 210 km east of Tripoli, where all the Eritreans refugees are concentrated.

Mezzi di pattugliamento al centro di ZuwarahIn the region of Zlitan, there are three other detention centres for immigrants, in Khums, Garabulli and Bin Ulid. They are smaller and detainees kept there are normally moved to the camp of Zlitan, which can hold up to 325 people. But how many detention centres are there in Libya? According to the evidences we collected in the last years, they are at least 28, mostly concentrated along the coast. There are three kinds of centres. There are concentration camps, like those of Sebha, Zlitan, Zawiyah, Kufrah and Misratah, where migrants and refugees are concentrated waiting for their deportation. Then there are smaller facilities, such as Qatrun, Brak, Shat, Ghat, Khums ... where aliens are held for a shorter period of time before being sent to the bigger camps. And then there are the prisons: Jadida, Fellah, Twaisha, Ain Zarah ... Common prisons I mean, with entire branches dedicated to undocumented foreigners. The most known one was the prison of Fellah, in Tripoli, but it was recently demolished to construct a new building, in line with the restyling of the entire city. Its function was replaced by Twaisha, the prison near the airport.

La chiesa di San Francesco, a TripoliKoubros managed to escape from Twaisha only few weeks ago. He is Eritrean, 27 years old. He used to live in Sudan, but after an Eritrean friend was deported from Khartoum, he suddenly decided to leave towards a safer place in Europe. He went out from Twaisha walking with crutches. He says he was seriously beaten by a drunk policeman who asked him money. Hopefully his Eritreans cell mates collect some money to let him free. To bribe a prison guard $ 300 is enough. I met him in front of the church of San Francesco, in Tripoli. Like every Friday, about fifty African migrants are waiting for the opening of Caritas. Tadrous is one of them. He was released last October from the prison of Surman. He is one of the few refugees having been judged by a court. His story interests me. It was on June 2008. They took the sea from Zuwarah, in 90 people. But after a few hours they decided to come back, because of the stormy sea, and they were arrested. The judge sentenced them to 5 months of detention, with the charge of illegal emigration. I ask him if he was given a lawyer. He simply smiles shaking the head. The answer is no.

Nothing strange, says the lawyer Abdussalam Edgaimish. Libyan law does not provide free legal aid for crimes punishable by less than three years. Edgaimish is the director of the Bar of Tripoli. He welcomes us in his office, in the First September road. He explains us that the practice of arrest and detention of immigrants have nor legal basis neither a validation from the court. Any Libyan citizen, according to the law, could not be deprived of liberty without a warrant of arrest. But for foreigners it is not the same. Police raids are usual. The practice is that of house-to-house raids in the suburbs of Tripoli.

Pattuglie a Zuwarah"Migrants are victims of a conspiracy between the two shores of the Mediterranean. Europe sees only a security problem, but nobody wants to talk about their rights. " Jumaa Atigha is also a lawyer of Tripoli, graduated in Rome in 1983. Since 1999, he chaired the Organization for the Human Rights of the Foundation led by the firstborn of Gaddafi, Saif al Islam. In 2007 he resigned. During his presidency he led a national campaign, making the Government release 1,000 political prisoners. He describes a country involved in a rapid change, but still far from an ideal situation with respect to individual and political freedom. Atigha knows well the conditions of detention in Libya. From 1991 to 1998 he has been jailed without trial, as a political prisoner. He tells us that torture is a common practice among the Libyan policemen. "The lack of awareness means that policemen think to serve justice, while they are torturing people"

Mustafa O. Attir think the same. He is professor of sociology in the Tripoli University of El Fatah. "It is not simply a problem of racism. Libyans are kind with foreigners. It is a matter of police." Attir knows what he says. He visited Libyan prisons as a researcher in 1972, 1984 and 1986. Police officers have no education – he tells us - and are instead educated to the concept of punishment.

Parrucchiere ghanese a TripoliSuddenly his words make me rethink to the Ghanaian hairdressers in the medina, the Chadian tailors, the Sudanese shops, the Egyptians waiters, the Moroccan ladies in the cafeterias, and the Africans cleaning the roads every night. While Eritreans refugees are hiding themselves in the suburbs of Gurji and Krimia, thousands of African immigrants live and work here, maybe exploited, but with a relative peace. Certainly for Sudaneses and Chadians people, everything is easier. They speak Arabic and they are Muslims. They have been living in Libya for tens of years and therefore they are quite tolerated. The same for Egyptians and Moroccans. Instead is different for Eritreans and Ethiopians. They are here only for a transit to Europe. Often they do not speak Arabic. Often they are Christians. And their grandparents fought against Libyans with the Italian colonial troops. And as they travel with the money for the crossing in the pocket, they are often stolen even in the street. For the Nigerians, and more generally for the Anglophone sub-Saharan, is different. If they are directed to Europe or not, it is not important. Their integration in the Libyan society clashes systematically with the racist stereotypes against Nigerians, linked to the crimes of some Nigerian criminal networks. They are accused of smuggling drugs and alcohol, exploiting prostitution, bringing the Hiv virus and perpetrating robbery and murders.

Università el Fateh, TripoliDuring 2007, professor Attir organized three conferences on the subject of immigration in the Arab countries. In Libya he is one of the greater experts. And he is ready to deny the figures circulating in Europe. "Two million immigrants in Libya are waiting to leave to Italy? It is not true." Actually there is no statistic at all. The Libyan population is five and a half million people. Foreigners can not reasonably be more than one million, including Arab immigrants. Most of them have never thought to cross the sea. And Libya need them, because its economy is growing up, and the country is underpopulated and its citizens don't want any more to do heavy and cheap labours. Attir is aware of the pressures that Europe is doing on Libya. But he also knows that "there is no way" to stop the transit of migrants in the sea.

Pattuglie a ZuwarahLibya has about 1,800 km of coastline, largely uninhabited. Colonel Khaled Musa, head of anti-immigration patrols in Zuwarah, don't really think that the six patrol boats promised by Italy will solve the problem. For sure they will help to control the coast between the Tunisian border, Ras Jdayr, and Sabratah. But it is only around 100 km. The 6% of the Libyan coast. And the departures have already moved on the coasts east of Tripoli, between Khums and Zlitan, more than 200 km from Zuwarah. The department of immigration of Zuwarah was created in 2005. The number of migrants arrested fell from 5,963 in 2005 to 1,132 in 2007. For the head of the investigations department, Sala el Ahrali, the figures show the success of the repressive measures. Many smugglers have been arrested, that is why the departures decreased. And the coast is patrolled every night, by cars. Every ten kilometres there is a police tent, on the beach. But only along 50 kilometres from the Tunisian border, from Farwah, to Mellitah, near the gas treatment plant owned the Italian Eni and the Libya's National Oil Company.

Jehad Nga for The New York TimesIt goes from Mellitah to Gela, in Sicily. Greenstream, this is its name, is the longest underwater pipeline in the Mediterranean. Ironically, it runs along the same route which leads thousands of migrants to Lampedusa. On the surface of the sea, EU sends its military forces to stop the transRit of human beings. While at the bottom of the sea, eight billions cubic meters of gas annually pass through the 520 km of pipes, among the bones of thousands of victims of migration. An image that perfectly summarizes the relationship of the last five years between Rome and Tripoli, leaded under the slogan "more oil, less immigrants".


Read also:
Libya: inside the immigrants detention centre of Misratah
Border Sahara: the detention centres in the Libyan desert
Download the Fortress Europe 2007 Report: Escape from Tripoli

Wednesday, January 21, 2009

UN SLAMS ITALY ON LAMPEDUSA MIGRANT CENTRE

2009-01-21 15:02
UN slams Italy over migrant centre
Overcrowding on Lampedusa as immigrants await repatriation
(ANSA) - Rome, January 21 - The United Nations refugee agency UNHCR on Wednesday slammed Italy for allowing ''unsustainable'' overcrowding at a migrant centre on the southern island of Lampedusa.

After another boatload of illegal immigrants arrived on the island in the early hours of the morning, the number of people crammed into the 850-bed centre rose to 1,850, most of whom are forced to sleep outside.

''The overcrowding results above all in the standards of assistance for immigrants being lowered,'' said UNHCR regional spokesperson Laura Boldrini.

''But there is a risk that the situation could deteriorate further, putting at risk the safety of the migrants and asylum seekers, humanitarian workers, doctors and people in charge at the centre''.

Boldrini called for the overcrowding problem to be resolved as soon as possible, especially in view of rising protests from Lampedusa residents.

''Their concerns are understandable, but migrants and asylum seekers cannot be made the scapegoats in this situation,'' she said.

Under a new measure introduced by Interior Minister Roberto Maroni last month, all new arrivals must remain on the island before being identified and repatriated. In the past, immigrants have been transferred to other centres on mainland Italy, but under the measure only immigrants recognised as asylum seekers can be moved.

A number of Egyptian immigrants have so far been repatriated thanks to an accord with Cairo facilitating such transfers, but Italy lacks similar deals with other countries.

Immigrants from Tunisia, Nigeria, Somalia and Eritrea are currently stuck at the centre.

Lampedusa Mayor Bernardino De Rubeis on Wednesday appealed to Premier Silvio Berlusconi to resolve the situation and also called on Pope Benedict XVI to pray for ''the illumination of Maroni's mind''.

''I think Maroni is confused. He can't repatriate immigrants when their provenance isn't clear, and he can't repatriate people when accords do not exist. He risks repatriating people who are fleeing from war to other countries,'' he said.

De Rubeis also stressed that the islanders were against Maroni's plans to build an 'identification centre' on Lampedusa to facilitate the repatriation process.

''We want to be welcoming towards these desperate people but we will not accept prisons nor expulsion centres,'' he said.

The Lampedusa centre's chief, Cono Galipo', said Tuesday that he was ''seriously worried'' about the situation.

''Until now we've been able to cope with the emergency by inventing temporary solutions like the use of tents, but if there are any more landings we won't know where to put them,'' Galipo' said.

The head of the interior ministry's civil liberty department, Mario Morcone, arrived on Lampedusa to review the emergency on Wednesday.

BARROT TO VISIT LAMPEDUSA.

European Justice Commissioner Jacques Barrot announced on Wednesday that he will visit the centre in the coming months.

Last week Maroni appealed to European Union interior ministers to introduce EU accords with immigrants' countries of origin to speed up the repatriation process.

Maroni has also promised to iron out areas of contention in a deal between Italy and Libya that will give the go-ahead to joint patrols of the Libyan coastline to prevent boats setting out by the end of January.

According to United Nations Refugee Agency figures, some 36,000 people landed on Italian coasts last year - a 75% increase compared to 2007 figures.

The statistics reveal that Italy took more than half of the 67,000 immigrants who arrived by sea in Europe last year.

The majority of Italy's illegal immigrants - around 31,000 - arrived on the island of Lampedusa, which is closer to the north African coast than the Italian mainland.

UNHCR said around 75% of the arrivals ask for asylum, and 50% are recognised as refugees
SOURCE

Tuesday, September 23, 2008

GENITAL MUTILATION & IMMIGRATION

AG: Don't deport genital mutilation victim

From Terry Frieden
CNN Justice Producer

WASHINGTON (CNN) -- The U.S. attorney general is trying to prevent immigration authorities from sending a Muslim woman to her home country, where she was a victim of female genital mutilation.

Attorney General Michael Mukasey ordered an immigration court to reconsider an African woman's case.

Attorney General Michael Mukasey ordered an immigration court to reconsider an African woman's case.

In a stinging order overriding federal immigration courts, Mukasey blasted a decision that said a 28-year-old citizen and native of Mali should be expelled "because her genitalia already had been mutilated [so] she had no basis to fear future persecution if returned to her home country."

Calling the rationale "flawed," Mukasey sent the case back to the Board of Immigration Appeals with orders to reconsider.

The woman, a native of Mali, begged the court not to send her back to her Bambara tribe.

The 28-year-old said if she returned and had a daughter, the child also would be subject to mutilation. The woman also said she faced forced marriage if she had to go home.

Mukasey cited what he concluded were two significant factual errors in the court's rejection of her appeal.

"Female genital mutilation is not necessarily a one-time event," Mukasey said. He noted that the board in a previous case had granted asylum in to one woman whose "vaginal opening was sewn shut approximately five times after being opened to allow for sexual intercourse and child birth."

He also concluded that the Board of Immigration Appeals was wrong to assume that the woman "must fear persecution in exactly the same form [namely, repeat female genital mutilation] to qualify for relief."

Mukasey had been urged to look into the matter by angered members of Congress in the wake of the January decision.

"This recent action taken by the Board of Immigration Appeals is a step backward for the rights of women worldwide," declared Rep. John Conyers, D-Michigan, in a January letter.

"Female genital mutilation is a gross violation of a woman's human rights and has traditionally been grounds for the granting of an asylum claim," Rep. Zoe Lofgren, D-California, said in the letter.

Senate Judiciary Committee Chairman Patrick Leahy, D-Vermont, issued a statement applauding Mukasey's action, and declaring female genital mutilation a "barbaric practice widely regarded as a human rights abuse."

The Justice Department acknowledged it is extraordinarily rare for an attorney general to jump into a relatively low-level immigration case. The immigration courts decide about 40,000 cases a year, and an attorney general has issued an opinion on a case only three times in the past three years.

Female genital mutilation is common in parts of Africa, Asia and in some Arab countries, according to the United Nations. The operation is viewed by some ethnic groups as a means to control a woman's sexuality and is sometimes a prerequisite for marriage or the right to inherit.

The procedure can cause tissue injury, severe infection and fever, among other complications. The U.N. has recorded cases in which hemorrhaging and infection lead to death.

http://edition.cnn.com/2008/WORLD/africa/09/22/genital.mutiliation.immigrant/index.html?eref=edition

Sunday, September 21, 2008

Colonia: un esempio per tutti

l contatto tra gli autonomi che protestavano e le forze dell'ordine ha provocato il divieto
Erano previste 2.000 adesioni europee, si sono presentati poche decine di naziskin italiani

Colonia si ribella alla xenofobia
vietata la manifestazione islamica

Ha preso la parola solo Borghezio, subito interrotto dallo stop della Polizia
La risposta civile della città. Il borgomastro: "Non c'è posto per razzismo e tolleranza"
dal corrispondente ANDREA TARQUINI



Colonia si ribella alla xenofobia  vietata la manifestazione islamica
COLONIA - I populisti di destra, gli xenofobi, gli antiislamici, di tutta Europa hanno incassato in Germania la loro Stalingrado. La "conferenza contro l'islamizzazione" indetta qui dal movimento 'Pro Koeln' (per Colonia) e con la partecipazione di gruppi e partiti ultrà di tutto il continente, è stata proibita all'ultimo istante per imperativi di pubblica sicurezza dopo che la città intera si era mobilitata con cortei, sit-in e blocchi stradali per sbarrare il passo ai populisti sulla via della piazza del mercato, luogo previsto per il loro comizio.

"E'una vittoria di Colonia, città tollerante dove abita gente di 180 etnie e oltre venti religioni, ma città che ha tolleranza zero contro l'eurofascismo", ha detto esultante il sindaco democristiano (Cdu, il partito della Cancelliera Angela Merkel) annunciando il divieto ai manifestanti democratici in piazza.

Si è conclusa così, con uno smacco dell'euroultradestra, la giornata che aveva fatto temere il peggio, la giornata che si preannunciava segnata da ore di violenze, tumulti etnici e guerriglia urbana tra estremisti di destra e di sinistra. Con l'appoggio del governo federale di Berlino, il borgomastro e la polizia hanno all'ultimo momento vietato il raduno convocato prima di tutto per condannare la decisione (appoggiata dal borgomastro) di costruire a Colonia una nuova, modernissima moschea che sarà la più grande di Germania.

VIDEO: DALL'INVIATO ALESSANDRA LONGO

La giornata era iniziata alle 9 del mattino, quando migliaia e migliaia di dimostranti anti-populisti avevano cominciato a radunarsi a Piazza Papa Roncalli, sul lato destro del maestoso, gotico duomo cattolico di Colonia. Militanti democristiani e socialdemocratici, verdi, sindacalisti, operai metalmeccanici, minatori della Ruhr, giovani venuti in treno o in autostop da ogni parte della Germania, avevano risposto all'appello del borgomastro Schramma e dei sindacati. Schramma, l'eroe della giornata, è stato il primo oratore. Ha detto che "a Colonia non c'è posto per razzismo, intolleranza, discriminazione e ogni odore di fascismo", ha aggiunto che "a questa cricca marcia di eurofascisti noi possiamo indicare solo la porta d'uscita e cacciarli, non sono i benvenuti". Fin da ieri venerdì, la resistenza passiva della città aveva reso la vita difficile ai manifestanti populisti: tassisti e conducenti di bus a noleggio si erano rifiutati di prenderli a bordo, ristoranti e alberghi hanno disdetto le loro prenotazioni.

A Piazza Roncalli ci sono stati i primi scontri tra polizia e gruppetti di autonomi e di black bloc che contestavano l'iniziativa xenofoba da posizioni estreme. Alcuni giovani hanno tentato di rubare la pistola d'ordinanza a un agente, la polizia ha subito reagito. Gruppi di estremisti hanno puntato su Heumarkt, la piazza del mercato luogo previsto del raduno di destra. La piazza già era bloccata da cordoni di dimostranti pacifici, gli autonomi hanno attaccato la polizia che ha reagito. Decisa ma senza esagerare, senza andare all'escalation. Manganelli e cariche a cavallo per contrattaccare, ma niente lacrimogeni né pestaggi. Intanto la piazza restava chiusa, solo pochissimi militanti di destra riuscivano ad arrivarci. E la tensione in strada restava alta. A quel punto è giunta la decisione di vietare il raduno. E all'euroultradestra non è restato che cercare la strada verso la stazione centrale o l'aeroporto.

In piazza, per il comizio, era arrivato solo l'eurodeputato leghista, Mario Borghezio. Ha potuto pronunciare solo qualche parola, poi l'audio è stato spento e anche lui è dovuto scendere dal palco. Borghezio se n'è andato urlando: "Europa cristiana, mai muslmana" e sibilando: "La decisione delle autorità tedesche di impedire la manifestazione 'stop Islam' indetta dal comitato Pro-Koeln conferma pienamente la nostra tesi: siamo di fronte a una strategia islamista di criminalizzazione di chiunque osi parlare".

Alla manifestazione dei democratici erano presenti anche politici dell'opposizione italiana: c'erano Laura Garavini, eletta deputato nelle liste europee del Pd, Eugenio Marino, responsabile pd per l'emigrazione italiana, e Rossella Benati della comunità italiana di Colonia. Hanno portato la loro bandiera, sono saliti in tribuna, hanno detto "La nostra presenza qui è contro la xenofobia e il razzismo, e per l'identità multiculturale". La Benati ha aggiunto: "I nostri padri venendo qui da emigrati vissero la discriminazione, oggi i bambini tedeschi giocano insieme ai bambini figli di immigrati". Schramma accogliendoli sul palco li ha abbracciati, li ha salutati come simbolo dell'altra Italia.

Friday, July 4, 2008

FORTRESS EUROPE

Giugno 2008

ROMA – È un triste anniversario quello della Giornata mondiale dei rifugiati del 20 giugno. Nel mese appena trascorso infatti, lungo le frontiere europee sono morti almeno 185 migranti e richiedenti asilo, dei quali 173 soltanto nel Canale di Sicilia. Quattro uomini sono deceduti alle Canarie, dopo essere stati ricoverati in gravi condizioni dopo il loro sbarco. In Italia, a distanza di pochi giorni, due iracheni sono stati trovati morti dentro due container sbarcati nel porto di Venezia a bordo di traghetti partiti dalla Grecia. In Turchia due migranti hanno perso la vita in un incidente del camion nel quale viaggiavano nascosti nella provincia orientale di Dogubayazit, mentre un cittadino somalo è rimasto ucciso da un proiettile durante una violenta protesta esplosa nel campo di detenzione di Kırklareli, vicino alla frontiera bulgara. E un proiettile ha ucciso anche tre profughi lungo il confine egiziano con Israele. Una delle vittime è una bambina sudanese di sette anni, ammazzata lo scorso 28 giugno.

Quella del Sinai si conferma la nuova rotta dei rifugiati eritrei e sudanesi, che alle carceri libiche e alla morte in mare preferiscono lo Stato ebraico. Nel 2007, secondo l'Unhcr, ne sono arrivati almeno 5.000. Intanto l'Egitto ha rinforzato i propri dispositivi di controllo, autorizzando la polizia di frontiera ad aprire il fuoco sui migranti. Dall'inizio dell'anno i morti ammazzati sono almeno 16. Messo sotto pressione da Israele, l'Egitto ha avviato una vasta operazione di arresti e deportazioni, colpendo in modo particolare gli eritrei. Secondo Amnesty International, su un totale dei 1.600 eritrei detenuti nei campi di detenzione egiziani, 810 sono già stati deportati dall'11 giugno 2008. Si tratta della più grande deportazione mai organizzata negli ultimi anni dall'Egitto e potrebbe segnare il passo di una nuova stagione di repressione al Cairo. Intanto chi ce l'ha fatta cerca una nuova vita in Israele.

Har Zion street numero tre. È uno degli indirizzi della diaspora eritrea a Tel Aviv. Uno stabile su tre piani, occupato da un centinaio di rifugiati del Corno d'Africa. I materassi sono dappertutto. Sui pianerottoli delle scale, lungo i corridoi. Beyené apre la porta di una camera di quattro metri per quattro, ci dormono in tredici. Alle undici del mattino la televisione è accesa e alcuni sono ancora a letto. Beyené è eritreo. È a Tel Aviv da 25 giorni. È entrato dall'Egitto. Dal Sudan era partito con la moglie. Ma lei è ancora detenuta a Ketziot, il campo di detenzione israeliano nel deserto del Sinai. Beyené è solo uno dei circa 10.000 richiedenti asilo entrati in Israele negli ultimi anni. È cominciato tutto nel 2006 con circa 1.200 ingressi dal Sinai, sei volte i 200 dell'anno precedente. E poi i 5.500 arrivi nel 2007 e i già 2.000 del primo trimestre del 2008. Sono soprattutto sudanesi e eritrei. E non è un caso. Il 30 dicembre 2005, 4.000 agenti egiziani in tenuta antisommossa assalivano i circa 3.500 profughi sudanesi che da tre mesi presidiavano il parco "Mustafa Mahmoud" del quartiere residenziale di Mohandessin, al Cairo, a poche centinaia di metri dagli uffici dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, chiedendo di essere reinsediati in un Paese terzo. Alla fine degli scontri si contarono 26 morti, tra cui 7 donne e 2 bambini. Il clima di repressione in Egitto, l'impossibilità di tornare in patria, nel Darfur come nel Sud Sudan, e i rischi del viaggio in mare verso l'Italia, hanno aperto una breccia nella barriera di filo spinato che separa l'Egitto e Israele. E ai convogli dei sudanesi sono seguiti quelli dei rifugiati eritrei, molti dei quali in fuga dal Sudan, dove il 2 giugno il governo ha ordinato la chiusura degli uffici dell'opposizione eritrea.

Beyené viveva a Khartoum da due anni. Con la moglie hanno pagato 800 dollari a testa per il viaggio verso Assuan, in Egitto. Un viaggio relativamente semplice, dice ,meno duro della traversata del deserto verso Kufrah, in Libia. Da Assuan al Cairo sono arrivati in treno. Alla stazione li aspettava un connection man. Altri 700 dollari a testa e nel giro di pochi giorni sono partiti alla volta della frontiera. Un pezzo di strada nei camion. E poi a piedi, di notte, in pieno deserto, finché le guide, egiziane, hanno tagliato con delle cesoie la barriera alta un metro di filo spinato e gli hanno detto di aspettare le pattuglie dell'esercito dall'altro lato. Una volta intercettati sono stati portati al campo di Ketziot. È una tendopoli con 1.200 posti, inaugurata nel luglio 2007 nel cortile di un carcere alle porte di Gaza utilizzato per la detenzione amministrativa dei prigionieri politici palestinesi. La moglie di Beyené è ancora là. Lui l'hanno rilasciato con un documento temporaneo di "conditional release". Nel frattempo si può lavorare, ma soltanto nella città cui è stato assegnato. A metà luglio il permesso temporaneo scade. Dovrebbero rinnovarlo, ma niente è sicuro. Intanto la domanda d'asilo pende presso l'Unhcr, che però non ha abbastanza personale per far fronte alle interviste, e si concentra piuttosto nelle richieste di rilascio dei migranti detenuti a Ketziot e nella ricerca di regolarizzazioni collettive, come il permesso temporaneo di un anno recentemente rilasciato a 600 sudanesi del Darfur e il permesso di lavoro di sei mesi dato a circa 2.000 eritrei. I rifugiati riconosciuti dall'Acnur e dal governo israeliano sono solo 86. Intanto, il 19 maggio 2008, il parlamento israeliano ha approvato in prima lettura la modifica della legge anti infiltrazione: riaccompagnamento immediato alla frontiera e 5 anni di carcere per il reato di immigrazione clandestina, 7 per i cittadini degli Stati nemici: Iran, Afghanistan, Libano, Libia, Sudan, Iraq, Pakistan, Yemen e Palestina. La proposta di legge torna adesso in commissione e sarà votata altre due volte. Intanto però, sui banchi del Parlamento non c'è nessuna proposta di legge sull'asilo. I motivi sono tanti. La questione politica dei rifugiati palestinesi e più in generale dei rifugiati degli Stati nemici di Israele sopra elencati, il possibile arrivo di parte dei due milioni di rifugiati iraqeni residenti in Siria e Giordania e la questione ideologica dello Stato ebraico. A Tel Aviv chiunque lo dice: "We are not supposed to be an immigration State, but a Jew State". Non siamo uno Stato di immigrazione ma uno Stato ebraico. Ad essere i benvenuti sono soltanto i circa 180.000 lavoratori stranieri impiegati nel Paese - nepalesi, cinesi, thailandesi, indiani o filippini – ma soltanto perché mantenuti con un permesso di soggiorno temporaneo e senza possibilità di ricongiungimento familiare.

E la situazione degli eritrei non accenna a migliorare nemmeno in Libia. Secondo l'Agenzia Habeshia, a Mishratah sono ancora detenuti, da oltre due anni, 700 uomini, 60 donne e 30 bambini, tutti eritrei. E altri 133 eritrei sarebbero detenuti a Ijdabiya, dopo essere stati arrestati in mare, nelle ore in cui il primo ministro italiano Silvio Berlusconi volava a Tripoli per un incontro lampo con Gheddafi, lo scorso 27 giugno. Sul tavolo della trattativa l'impegno a finanziare parte del sistema radar per il controllo delle frontiere sud della Libia, come contropartita per sbloccare i pattugliamenti congiunti in acque libiche, secondo gli accordi del 29 dicembre 2007. Le navi sono pronte, ha detto il ministro dell'Interno Maroni. Ma quali saranno le regole di ingaggio della missione? E quali sono oggi le regole di ingaggio della missione di pattugliamento di Frontex nel Canale di Sicilia, Nautilus III? Frontex mantiene il riserbo totale. Durante il question time in parlamento, il primo ministro maltese Lawrence Gonzi ha dichiarato "top secret" le regole delle operazioni, che vedono impegnati mezzi di Italia, Malta, Francia, Germania, Spagna e Grecia. Ma un giornalista tedesco è riuscito a rompere il silenzio. Si chiama Roman Herzog e nel suo ultimo documentario audio, Guerra nel Mediterraneo, la Guardia di Finanza italiana ammette che alcune unità navali di Frontex sequestrano viveri e carburanti dalle navi dei migranti per obbligarli a ritornare verso i porti di partenza. Una pratica che non è stata smentita dal direttore di Frontex Ilkka Laitinen, intervistato a proposito nel documentario.

La Libia ha rimpatriato a sue spese 30.940 immigrati nel 2007 e reclama un miliardo di euro di aiuti. Nel 2006 la Libia aveva rimpatriato 64.430 immigrati con una spesa di quattro milioni di euro. Intanto gli arrivi sulle coste italiane sono più che triplicati nei primi cinque mesi del 2008: 7.077 contro i 2.087 dello stesso periodo nel 2007. Sempre più donne (l'11% contro l'8% dello scorso anno) e sempre più rifugiati del Corno d'Africa (30%), in particolare da Sudan e Somalia. E sempre più imbarcazioni salpate dall'Egitto anziché dalla Libia per evitare i respingimenti. E di pari passo aumentano le tragedie. Nei primi sei mesi i morti di cui si ha notizia nel Canale di Sicilia sono almeno 311, di cui 173 soltanto nel mese di giugno. In tutto il 2007 le vittime documentate erano state 556. L'ultima strage, il 7 giugno, è costata la vita a 140 persone. Wali Adbel Motagali è l'unico superstite. In un'intervista al quotidiano egiziano al-Ahram ha raccontato: "Ho conosciuto un uomo nel mercato al-Jumua di Tripoli che mi ha offerto un viaggio verso l'Italia per 1.000 dollari. Il 5 giugno siamo stati portati a ovest di Tripoli, dove siamo rimasti per due notti. Ci hanno fatto poi salire a bordo di una imbarcazione che non poteva trasportare più di 40 persone e dopo solo un'ora di navigazione si è rotto il motore. Abbiamo tentato invano di ripararlo. Dopo poco abbiamo iniziato a imbarcare acqua. A causa dell'agitazione di alcune persone che si erano fatte prendere dal panico perché non sapevano nuotare la barca si è capovolta e molti sono annegati". Delle altre tragedie non ci sono testimoni né superstiti. Ma soltanto i cadaveri ripescati in alto mare o affiorati lungo le coste maltesi e siciliane.

Dall'altro lato del Mediterraneo, la Spagna torna a parlare di sé per l'ultimo rapporto pubblicato da Amnesty International sulle condizioni dei migranti in Mauritania, uno dei principali Paesi di transito verso le Canarie. Dal 2006 migliaia di persone sono state detenute nel campo costruito a Nouadhibou con fondi spagnoli e quindi rinviate alla frontiera con il Senegal e con il Mali. Amnesty svela i rapporti tra Spagna e Mauritania, per poi affrontare i punti critici dei respingimenti in mare di 5.000 persone operati dai pattugliamenti di Frontex nell'Atlantico, con un caso studio sulla vicenda dei 369 passeggeri del Marine I, intercettati in mare il 30 gennaio e mantenuti in detenzione in condizioni degradanti per mesi, prima del rimpatrio della maggior parte di essi, in India, Pakistan, Sri Lanka e Guinea. Intanto più a nord, i migranti bloccati in Marocco senza documenti, tentano di raggiungere Ceuta e Melilla a tutti i costi. A nuoto, oppure assalendo i posti di frontiera, come è successo il 22 giugno a Melilla, quando 70 migranti sub-sahariani hanno tentato di superare con la forza il punto di blocco di Beni-Enzar, tra Nador e Melilla. Una cinquantina di loro sono stati arrestati e saranno espulsi. Degli altri si sono persi le tracce.

Saranno presto espulsi in Algeria e da lì in Mali. Come è successo a uno dei superstiti del naufragio di Hoceima del 28 aprile scorso, arrestato e abbandonato nel deserto, a Tinzaouatine. Come lui almeno 12.200 migranti africani sono stati arrestati e deportati nel 2007 nella regione di Tamanrasset, nel sud est algerino. Il Paese, che pure vive il dramma della propria emigrazione, ha recentemente adottato una nuova legge sull'immigrazione che prevede la creazione di centri di detenzione per i migranti, finora trattenuti in carceri, locali fatiscenti o stazioni di polizia. Per la prima volta, Fortress Europe è in grado di mostrare un reportage fotografico sugli arresti e le deportazioni nel deserto algerino, realizzato da Bahri Hamza. Se i nuovi campi, voluti dall'Europa, serviranno a fermare i migranti non è dato saperlo. Ma intanto un rapporto appena pubblicato dall'Oim smonta la tesi fondante delle politiche di contrasto all'immigrazione africana, dimostrando dati alla mano che dall'Africa sub-sahariana non è in corso nessuna invasione e che la maggior parte dei migranti senza documenti arrivano con un visto turistico e non sulle carrette del mare.


Thursday, June 19, 2008

RIFUGIATI INTERNI ED ESTRENI

Cara Chantal,
Complimenti per questa poesia molto sentita e vissuta a mio avviso.
Ricordo molto bene una volta durante un incontro della diaspora Africana di Roma la tua distinzione tra la situazione di un immigrato e un rifugiato soprattutto quando si parla della diaspora Africana: Non è un argomento molto facile da affrontare guardando i diversi tipologie dei rifugiati Africani qui in Europa.


Comunque sia ci sono diversi lati del rifugiato che nessuno si augura; io ti parlo come uno che era stato diversi anni come un rifugiato all’interno della sua nazione e nessuno se né fregava niente; un po’ per l’egoismo della comunità internazionale e un po’ per la mancanza dei mezzi della comunicazione che ci sono adesso. (vedi foto da Biafra 1969, un bel giorno ti farò vedere un album con la presentazione dei personaggi) La secondo foto e dal Darfu (Sudan).

Una cosa comune e la tristezza che uno non può vedere la casa proprio, quando vuole.

Charles

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SHAITSU

SHAITSU
Il massaggio Shiatsu che si effettua tramite la pressione delle dita, dei palmi delle mani e dei piedi e dei gomiti su tutto il corpo, agisce sui punti energetici considerati dall'agopuntura. Stimola la circolazione sanguigna ed il flusso linfatico, agisce sul sistema nervoso allentando la tensione muscolare più profonda, rimuove le tossine dei tessuti, risveglia il sistema ormonale e sollecita la capacità di autoguarigione del corpo.

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